LA MALATTIA: DANNO E OPPORTUNITA'
Quando un sintomo si affaccia nella nostra vita, subito sentiamo la sua duplice natura: esso certamente fa parte del nostro corpo, nasce in noi e tuttavia ci sembra che non nasca da noi. Lo percepiamo come una presenza strana, quasi nemica, che può destabilizzarci, a volte distruggerci.
La sua comparsa interrompe il flusso esistenziale nel quale eravamo calati, altera un equilibrio, spezza un ritmo. La prima reazione è quella di cacciarlo via al più presto. Superata la soglia individuale di allerta, il sintomo si impone alla coscienza e chiede attenzione.
E' in quel momento che sentiamo di essere abitati da forze che non siamo abituati ad ascoltare e sulle quali percepiamo di non avere alcun potere personale, sia che ci sembrino provenire dalle nostre profondità biologiche sia che giungano da un altrove non meglio definibile.
Un'esperienza forte, sgradevole, che ci fa attribuire al sintomo qualità non solo negative, ma anche paralizzanti, incontrollabili. Ora finalmente abbiamo strumenti per riflettere su tali esperienze e segnare l'inizio possibile di un nuovo modo di viverle.
La salute immaginaria
Nel quotidiano siamo soliti concepire la salute come assenza di sintomi e di dolore; vivere senza guai fisici: la bellezza pura e semplice del "funzionare bene", del sentire che la macchina-corpo è a posto, così da poterci muovere nel mondo senza limitazioni, facendo quello che vogliamo o che dobbiamo fare. E' un bene prezioso questa salute di base di cui ce ne rendiamo conto solo quando ci ammaliamo. E lì, nel momento in cui manca, essa ci rivela anche nelle sue ulteriori valenze pratiche, racchiuse nella sua parola latina da cui deriva: salvezza (dal dolore, dalla malattia, dal male) e conservazione (nel tempo, nello spazio, nell'azione). L'idea della non-malattia è alla base del nostro sentirci bene: una sensazione di pienezza, quando riusciamo a coglierla e un desiderio - quello di stare sempre bene - istintivo e legittimo radicato in ognuno di noi. Eppure questa è una condizione che per natura non può essere costantemente presente. Non c'è stata forse neanche una singola esistenza, nella storia dell'Uomo, in cui la malattia non si sia manifestata almeno una volta nell'arco dell'intera esistenza individuale: lo rivelano i dati clinici, i testi dell'antichità, gli scheletri dell'età della pietra. Sembra esserci una legge di natura per la quale prima o poi qualcosa debba giungere ad alterare il nostro equilibrio vitale, anche quando tentiamo di tutto per evitarlo. Questo qualcosa si chiama "crisi".
La malattia: danno e opportunità
La malattia è un'interruzione del nostro vivere: arriva con la sua forza di rottura e separa il tempo in un "Prima" e in un "Adesso" doloroso e confuso.
La nostra vita scorreva tranquillamente quando all'improvviso ecco un'influenza che ci butta a terra per una settimana o un'anemia ci indebolisce e ci obbliga a ricerce diagnostiche.
A volte, un'osservazione più attenta può rivelarci che la nostra vita non scorreva proprio del tutto tranquilla, e che forse non era del tutto nostra. Il corpo ci ha giocato un brutto scherzo...ci ha rovinato i nostri progetti...
Lontanissimi dall'idea che possa avere un qualsiasi senso, anche solo biologico, viviamo la caduta in crisi con dolore e disorientamento, con rabbia e frustrazione, e spesso con paura.
Dunque la malattia, per quanto dolorosa e sofferta, costituisce un momento fondamentale del vivere individuale e collettivo, senza il quale paradossalmente non può esserci salute né evoluzione, sia della materia che della coscienza. Solo così la Natura spezza il vecchio schema e crea lo spazio per ricrearne un altro più adatto al presente.
Lo sguardo limitato
Tutte le civiltà antiche curavano le patologie basandosi esclusivamente sulla lettura simbolica, impregnata della loro specifica cultura e della religione di riferimento. Lo sciamano guaritore non sapeva nulla del funzionamento del corpo, ma spesso sapeva cogliere i contenuti simbolici profondi di un disturbo. Molti morivano, ma la tribù si sentiva al sicuro.
La medicina moderna, figlia della rivoluzione scientifica dei secoli scorsi, ha ribaltato questa impostazione: non ha alcuna considerazione dei simboli insiti nel corpo - che non sono dimostrabili secondo parametri scientifici - e si concentra solo sul suo funzionamento, privando così un sintomo della sua anima, e separando l'anima dal corpo. Si salvano molte vite eppure c'è tanto malessere e le patologie principali sono tutte in aumento.
Entrambi questi approcci sono incompleti, perché non contemplano l'uomo nella sua compresenza di corpo e di anima, e il corpo nella sua doppia valenza di macchina con automatismi e di materia ricca di senso. E quando la medicina moderna mostra qualche aperura, lo fa sempre in modo riduttivo, ritenendo che sì, in effetti, ci sono malattie influenzate in qualche modo dalla psiche, ma solo alcune, e più che altro si tratta di stress.
L'importanza dei simboli
Un simbolo psicosomatico che cosa tiene insieme?
Il corpo inteso come simbolo ritorna a essere la sede in cui gli opposti sono compresenti, come avviene, in modo sincronico a livello psichico. Un sintomo è simbolico nel senso che, per esempio, può esprimere il desiderio e l'avversione per qualcosa, un bisogno di autonomia ma anche di dipendenza, la voglia di amare e l'urlo per non essere stati amati.
Sincronicità è la parola utilizzata per la prima volta da Jung: qualcosa che avviene non solo nello stesso tempo, ma pure lo stesso senso. Così se una persona soffre di gastrite, anche a livello psichico troveremo atteggiamenti che, per analogia, sono simili a quelli di uno stomaco infiammato.
La dimensione d'organo e la guarigione
La crisi è un momento sacro nel quale dobbiamo fare le mosse giuste per sfruttare l'opportunità offerta dal disequilibrio.
Allontanare i sintomi con i farmaci, trascurarli, eccedere nel cercare un senso a tutti i costi durante la fase acuta: ecco sono alcuni degli atteggiamenti sbagliati che possono far restare una crisi soltanto tale e non una rinascita.
Serve perciò uno sguardo neutro e aperto, che rifugga da integralismi e cerchi di cogliere di volta in volta l'atteggiamento migliore per quel sintomo, in quel momento.
Lo strumento di base secondo la visione psicosomatica, si chiama "dimensione d'organo" in cui ogni organo e tessuto è depositario di immagini arcaiche e di funzioni primarie, presenti in noi fin dalla notte dei tempi che rappresentano un "modo di essere al mondo": per esempio la dimensione della pelle è quella della relazione con il mondo, quella dello stomaco è la disponibilità ad accogliere, quella del sistema immunitario è lo stato di allerta ecc.
Ognuno di noi possiede queste dimensioni, ma crescendo abita preferenzialmente una o alcune di queste: uno può vivere uno stato di allerta, un altro agisce in base alle sensazioni a pelle e via dicendo. Ciò significa che chi è calato in una dimensione d'organo, quando ha un problema o un conflitto interiore inconscio potrà esprimerlo più facilmente a livello di questa funzione organica. Al contempo quando si presenta un sintomo, l'organo in cui esso insorge ci può raccontare diverse cose che la persona non sa di se stessa e che possono aiutare a trovare la giusta via di guarigione. Una guarigione che non va intesa come la scomparsa dei sintomi, ma come l'approdo a un nuovo equilibrio più in sintoni con l'essenza della persona.
FONTE: "Dizionario di medicina psicosomatica" di Raffaele Morelli, Edizione Riza.